In qualunque altra città costruita a ridosso della montagna la funivia è e sarà sempre un normalissimo mezzo di trasporto ma, a Sarajevo, anche quest’ultima non può esimersi dall’entrare nella storia.
La funicolar, che effettuò la sua prima corsa nel 1959, raggiunse l’apice del successo nel 1984, quando trasportò migliaia di turisti e sportivi sulle pendici del monte Trebević fino alla pista da bob, dove si sfidarono gli atleti dei Giochi Invernali.
Nel 1992 il Trebević fu occupato dall’esercito della Repubblica Serba e la funivia fu purtroppo tra le prime vittime del conflitto.
All’indomani degli accordi di pace il monte si trovò diviso tra la Federazione di Bosnia e Herzegovina e la Repubblica Serba (nella cui giurisdizione rientra la vetta del Trebević), e la separazione del territorio rallentò ulteriormente il processo di ricostruzione dell’infrastruttura.
Oggi il terreno è ormai completamente sminato e dal 2018 l’impianto ha riaperto.
Noi abbiamo preso la funicolar di prima mattina e siamo saliti a bordo di una delle 33 cabine per salire sul belvedere a 1.164 metri di altezza in poco più di 10′: la vista è spettacolare, e prende la quasi totalità della città e della conca in cui sorge.
Una volta in cima facciamo colazione nell’ottimo bar con vista panoramica, prima di iniziare a esplorare uno dei tips che da tempo ci siamo segnati sui nostri taccuini: la pista da bob.
Caduta in disuso (come molto spesso accade) dopo le Olimpiadi, l’impianto ha trovato nuova linfa grazie alla street art e ai murales, che ne hanno interamente ricoperto ampi tratti.
Percorrerla e sfruttarla al contempo come percorso per rientrare verso la città (la passeggiata non è corta, ve lo segnaliamo) è uno spettacolo: tantissimi sono gli scorsi da fotografare, scorci che le curvature estreme della pista, i colori dei graffiti e la pineta circostante contribuiscono a rendere davvero un unicum, e anche la passeggiata di montagna che riporta nel cuore della capitale è un balsamo per i nostri cinque sensi.
“Sarajevo is a symbol of pluralism, multi-ethnicity and of minority groups who lived together peacefully for centuries. We all remember the 1984 Winter Olympics in Sarajevo. The event was meant to signify pluralism, multiculturalism and living with differences in a peaceful manner.”
(Joel Rosenthal, President of the Carnegie Council for Ethics in International Affairs)
Sarajevo Brewery
Verso ora di pranzo torniamo in città, alla base del Trebević, e affamati e assetati voliamo a pranzare nella storica Sarajevo Brewery, imponente complesso sede della prima fabbrica di birra inaugurata in Bosnia nel 1880 dove anche attualmente continua a essere prodotta la validissima Sarajevsko.
Soffitti altissimi e legno scuro circondano il nostro lauto pasto (buono ma non di certo leggero), dove recuperiamo le forze in vista dei chilometri da percorrere nel pomeriggio, dedicato all’esplorazione della Sarajevo socialista.
Il Papagajka
Partiamo subito da uno dei simboli di questa città broootta: il Papagajka (“pappagallo”), enorme complesso residenziale giallo e verde al cui interno troviamo murales, scale a chiocciola, vetro e balconi, progettato e realizzato da architetti socialisti negli anni ’80, quando una ventata di “ottimismo” (evvai) portò a ridisegnare la società anche attraverso l’edilizia.
Skenderija
Continuiamo a camminare lungo il Miljacka e arriviamo all’orribile Skenderija, immensa spianata di cemento di 70.000 mq che – nelle intenzioni di Tito – doveva divenire un monumentale complesso culturale, sportivo e ricreativo e dove oggi hanno sede un centro commerciale tra i più brutti mai realizzati (e i centri commerciali non eccellono di certo per estetica), uno dei locali più famosi della città (il Dom Mladih), l’Ars Aevi Museum e diverse gallerie d’arte.
Traumatizzati superiamo il parallelepipedo in cemento dove ha sede la Facoltà di Filosofia procedendo sempre più a est su Zmaja od Bosne, lo stradone ribattezzato “Viale dei cecchini” negli anni della guerra, e oggi immenso questo vialone dove il capitalismo tutto vetri delle facciate dei grattacieli della nuova Sarajevo e i prismi socialisti si fronteggiano in una continua lotta per l’anima della città
Café Tito
Una volta raggiunto il Museo di Storia, un gigantesco blocco di marmo sospeso su una base di vetro che poggia a sua volta su di un piedistallo marmoreo, rientriamo leggermente verso il centro della città per conoscere un altro dei pezzi forti di Sarajevo: il Café Tito, locale meravigliosamente decadente e iugonostalgico molto anni ’70, frequentato da hypster, turisti, studenti e famiglie, i cui bambini giocano tranquillamente tra i pezzi d’artiglieria e i corazzati in disuso parcheggiati in cortile.
Il quartiere di Ciglane
Dopo un buon caffè americano attraversiamo il fiume e – passando nei pressi dell’Hotel Holiday, “mattoncino Lego” base dei reporter di guerra negli anni ’90 – ci dirigiamo all’interno di quello che sarà l’apice del nostro incontro col brutalismo sovietico: il quartiere di Ciglane, vera e propria foresta di condominii anni ’80 addossata al versante collinare dove lunghe scalinate in cemento ricoperte di murales e una funicolare che non fa nulla per nascondere gli anni accumulati portano ai piani alti di questa parte di città che è assolutamente da visitare, a nostro modo di vedere, per capire al meglio come il brutalismo abbia ridisegnato le periferie con il suo cemento, le sue simmetrie e le linee squadrate di moduli che si ripetono all’infinito.
Cimitero di Koševo
É quasi il tramonto: approfittiamo allora dell’ultima luce per una visita al particolarissimo complesso cimiteriale di Koševo, che vede la sua specificità nel fatto di ospitare al suo interno tre campisanti: uno musulmano, uno cattolico e uno ortodosso, raffigurazione perfetta di quello che è stato Sarajevo in termini di convivenza tra culture differenti; è in questo cimitero tra l’altro che trova spazio la cappella in pietra bianca con una grande croce rossa che custodisce la spoglia dei cosiddetti “eroi di San Vito”, ovvero i cospiratori che ordirono l’attentato a Francesco Ferdinando proprio nel giorno di San Vito compreso quel Gavrilo Princip che in questa parte d’Europa è considerato eroe nazionale.