Sono le 5 del mattino e siamo già svegli; saltiamo (a malincuore) l’abbondante e “leggerissima” colazione dell’hotel per scarpinare al buio della Miljacka fino alla stazione centrale di Sarajevo, grondante socialismo, dove ci aspetta il treno delle 6 in partenza dal binario numero 1.
Direzione: Mostar, città ottomana simbolo del conflitto dei Balcani, circondata dalle colline dell’Erzegovina e attraversata dalla placida Neretva.

Il paesaggio che scorre nei finestrini nelle due orette di viaggio vale già di per sé il prezzo del biglietto (di carta e scritto rigorosamente a mano): montagne rocciose e verdissime contornano fiumi dall’acqua di un blu splendente, intervallate qua e là da ponti, dighe, piccoli villaggi, segherie e moschee.
In sostanza: come il Tirolo, ma con le moschee: pazzesco!
Il treno non è il massimo della performance e sembra risalire all’epoca titina ma, dato il meteo non esaltante, il riscaldamento fuori controllo in questo caso aiuta.

Arriviamo a Mostar che è ormai giorno compiuto; la stazione è fuori dal centro e dobbiamo percorrere una periferia terribile prima di arrivare alla città vecchia musulmana.
Avete capito bene: musulmana.
Perchè Mostar, al contrario di Sarajevo, è una città in cui i contrasti tra i due gruppi dominanti della zona, i bosgnacchi musulmani e i croati cristiani, sono ancora fortissimi.

Prendete il Gimnazija Mostar, scuola sperimentale dove croati e bosgnacchi condividono le ore di ginnastica ma non quelle di storia.
O la croce del giubileo, 33 metri di altezza, che sorge “casualmente” sul colle da cui l’artiglieria della Repubblica Croata bombardò Mostar Est, presidiata dai musulmani.
O il derby calcistico tra FK Velež Mostar e HŠK Zrinjski Mostar, considerato come “il derby più pericoloso del mondo”.

Il Bulevar rappresenta il simbolico confine tra questi due mondi: a est minareti, a ovest campanili.

Perché così tanta divisione rispetto alla capitale?

Mostar, piccola cittadina di poco più di 100.000 abitanti, nella zona sud-orientale della Bosnia-Erzegovina, è considerata la capitale economica e culturale del Paese e si trova molto vicino al confine con la Croazia.
Nel 1993, in piena guerra civile, la città venne letteralmente divisa in due tra i croati cattolici della zona ovest e i bosniaci mussulmani della zona est.
Il 9 novembre di quell’anno fu poi distrutto da alcuni colpi di mortaio sparati della forze filo-croate, il ponte Stari Most, patrimonio UNESCO risalente al XVI secolo, che attraversava il fiume Neretva.

La città non di è mai veramente ripresa dal conflitto: qui i ponti dividono anziché unire, i murales servono a nascondere profonde cicatrici e non ci sono simboli che non presentino almeno una doppia lettura.

Andiamolo quindi a vedere, questo Stari Most o Ponte Vecchio, simbolo di Mostar e della Bosnia tutta, che univa est e ovest e che è stato ricostruito seguendo fedelmente l’originale distrutto dai bombardamenti nel 2004 quale emblema della riunificazione del Paese.
Diciamolo chiaramente: rimaniamo molto delusi.
Il ponte di per sé non ci comunica nulla: né storia, né riunificazione o vicinanza tra popoli, né tantomeno grande bellezza … è letteralmente invaso da turisti, per lo più cinesi, e venditori di paccottiglia e souvenir di pessimo gusto.

Scappiamo dal centro della confusione e ci rifugiamo nel cortile della vicina moschea di Koski Mehmed Pasha, da cui è possibile ammirare il ponte in totale tranquillità e scattare anche qualche bella foto.

La città vecchia musulmana in pratica si esaurisce qui, e allora noi attraversiamo il Bulevar da Piazza di Spagna, tra palazzi ricoperti di street art e fori di artiglieria e fucili di precisione; il minaccioso scheletro della Ljubljanska Banka, postazione dei cecchini, sorveglia e ammonisce da nord proprio di rimpetto al sopra-citato Gimnazija Mostar; a ovest un parco giochi ospita invece un’inaspettata statua di Bruce Lee (…), che rappresenta agli occhi dell’amministrazione cittadina un modello positivo e privo di connotazioni politico-religiose.

Esploriamo la parte croata della città, decisamente più ricca di quella musulmana ma non per questo più bella: da segnalare la Cattedrale di Santa Maria Madre di Dio, che se non fosse per la croce passerebbe per un palazzetto dello sport, e lo stranissimo cimitero dei Partigiani (Partizansko Grobje), surreale sintesi di monumentalità socialista, simboli cosmologici e abbandono che ricopre – privo di connotazioni religiose – un intera collina.

A metà pomeriggio lasciamo la città e in pullman rientriamo verso Sarajevo: siamo sconvolti da cotanta bruttezza, sconvolti ma anche fieri di aver salvato il nostro format!
Se non fosse stato per Mostar infatti, Sarajevo non sarebbe potuta essere annoverata tra le città brootte da visitare, troppo bella, acculturata e piena di storia per essere anche solo accostata alla nostra ricerca della vera broottezza!